venerdì 13 settembre 2013

Libro "Dal Tribulaum e Nisida" - Prefazione

poetis quodlibet audendi semper fuit aequa potestas
 
     Elisabeth Marini mi ha consegnato qualche tempo fa una busta che aveva trovato fra le carte della mamma. Conteneva un centinaio di fogli ingialliti, scritti a mano dal fratello Helmuth. Erano note e appunti che raccontavano episodi della vita di Helmuth, verificatisi tra gli anni ‘40 e ‘50. Ero andato a scuola con Helmuth, mi erano ben noti luoghi e tempi in cui si svolsero i fatti descritti, e avevo, come lui, vissuto lo sfondo storico e sociale di quell’epoca. Il racconto mi ha avvinto, ho completato e aggiornato lo scritto, senza modificare il contenuto, e ho deciso di pubblicarlo.
     Propongo questo libro sperando che induca a riflettere sul suo tema, che è la guerra, con le ingiustizie che essa provoca per milioni di persone innocenti, e i risentimenti duraturi che essa scatena. Pochi si chiedono perché si debba acriticamente continuare a considerare la guerra mezzo legittimo di risoluzione delle contese filosofiche, religiose, economico/finanziarie, territoriali, e perché le persone al potere debbano avere carta bianca per scatenarla, giustificandosi con la tautologica spiegazione che l’uccisione in guerra non è assassinio perché "questa è guerra", e comunque, è sempre (per tutti) "guerra di difesa", e perciò legittima.
     L’auspicio del libro è che, per fare l’integrazione dei popoli dell’Europa (e non solo), per fare progressi duraturi e convincenti nella pacifica convivenza, dovranno prima essere superate le esasperazioni – arcaico retaggio del Romanticismo – dei concetti di patria e nazione, dovrà essere abbandonato il feticismo delle bandiere (i provinciali americani ne portano quattro a ogni angolo dei loro automezzi): patria sarà sempre più il mondo, nazione il tessuto culturale in cui viviamo, bandiera il folclore del paese in festa.
     Nel racconto qui proposto, questi concetti universali vengono considerati nella prospettiva delle tensioni causate dal passaggio territoriale all’Italia, dopo la prima guerra mondiale, di una provincia storicamente austriaca, il Sudtirolo, e dalla ingiustizia provocata dai metodi di italianizzazione adottati dal fascismo. I sudtirolesi, acquisiti all’Italia, non hanno dimenticato, e non dimenticheranno, le ore passate in ginocchio dietro alla lavagna, quando erano bambini, nella classe della maestra de Bianchi, punizione loro inflitta solo perché colti durante l’intervallo a chiacchierare in tedesco, loro madrelingua.
     Si dovrebbe pensare che, dopo avere vissuto oltre mezzo secolo di coscienza repubblicana, gli italiani abbiano perso le infatuazioni nazionalistiche e la limitazione della mente all’orizzonte dei campanilismi paesani. Non è così. Sia in Alto Adige sia nel resto dell’Italia – a Parma, a Roma, a Napoli – quando si parla dei sudtirolesi si avverte ancora ostilità per quei "tedeschi" che gli italiani chiamano "crucchi" con specifico intento offensivo. In Italia si grida allo scandalo (ai massimi livelli politici) per inezie come nel caso del campione olimpionico sudtirolese il quale, non conoscendo le parole dell’inno nazionale (chissà quanti veri italiani non le conoscono), non cantò sul podio. Si celebrano, a Bolzano, eventi commemorativi che, con maggior tatto, si potrebbero tenere altrove; la Sovrintendenza per i beni architettonici di Verona spende il denaro del contribuente italiano per conservare e restaurare un monumento del Ventennio sempre ancora adorno di fasci littori.
     I nuovi mezzi di comunicazione e di incontro dei popoli stanno erodendo i confini fisici, stanno rendendo obsolete le definizioni geografiche degli Stati, stanno affrancando i popoli dai vincoli di sudditanza al "principe". Mi auguro che la nuova attitudine, specialmente dei giovani, di sentirsi cittadini del mondo, liberati finalmente dalle frontiere, geografiche e intellettuali, faciliti il cammino, che dovremo fare insieme verso mete che, pur conservando giustamente le tradizioni locali, rifiutino i perniciosi nazionalismi che sono stati, nel secolo passato, causa di lutti e sofferenze inenarrabili.
     Sono fiducioso. "Das Neue dringt herein mit Macht", le nuove visioni si apriranno con forza la strada, come hanno sempre fatto. E faranno. Inarrestabilmente. Invincibilmente.
     Helmuth Marini trascorse le estati del 1954 e 1955 al rifugio Calciati (al Tribulaun) come aiuto-gestore e portatore associato alla guida alpina Luis Lazzeri.
     Affascinato dalla bellissima cima del Tribulaun, la più luminosa e selvaggia delle Alpi dello Stubai, non solo si cimentò a scalarla – insieme con le altre vette che circondano il rifugio – ma temprò lo spirito al cospetto della meravigliosa, maestosa montagna. Lì si preparò per gli esami che lo attendevano, la maturità e l’ammissione all’Accademia Aeronautica.
     Il ragazzo di paese scese dai monti e approdò a Nisida, la mitica sede – per pochi anni soltanto – del più ambito istituto militare italiano. Fu arduo cammino, esperienza irripetibile: dall’alto delle vette agli illimitati sentieri del cielo.
     Il titolo del libro, "Dal Tribulaun a Nisida", evoca il destino di Helmuth Marini, esprime il viaggio della sua vita.

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